Modena, 9 gennaio 2019.

Si è concluso con canti, interventi, candele fumogene e pugni al cielo davanti alla torre piezometrica della Crocetta, il 69° anniversario dell’eccidio delle Fonderie Riunite.

Esattamente là dove si trova il monumento in ricordo dei lavoratori assassinati il 9 gennaio 1950, è lì che si apre, in una serata gelida, nebbiosa e periferica, il nuovo anno, nello stesso luogo davanti al quale solitamente, in questi anni, si sono svolte tutte le celebrazioni ufficiali, quelle incravattate, ingessate, quelle in divisa, tanto silenziose quanto sterilizzate.

Alla vigilia del 70° anniversario sembra che Modena stia riscoprendo maggiore interesse per un pezzo della propria storia. Sarà per il recentissimo annuncio di “riqualificazione” del complesso delle ex Fonderie, tanto atteso da decenni quanto in odore di elezioni, vuoi per l’imminenza delle amministrative, certo è che quest’anno dell’eccidio del 9 gennaio in città si è parlato parecchio.

La sera prima del corteo, si illuminano le finestre delle ex Fonderie e uno striscione che recita “La memoria di ieri vive nelle lotte di oggi” cala dall’edificio davanti al cavalcavia della Maserati.

Ma è nella mattinata seguente, il 9,  a margine delle celebrazioni istituzionali che avviene l’episodio più discusso e significativo

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Un’opera di street art, creata apposta per la giornata dal Collettivo Fx di Reggio Emilia nel percorso di avvicinamento alla manifestazione serale, è subito rimossa e distrutta dalla Digos. Ai presenti che chiedono spiegazioni viene semplicemente detto che l’opera «è inappropriata» ed «è una schifezza» secondo il giudizio di certi funzionari che sentenziano dall’alto di un’invidiabile cultura estetica. Ad un giovane che domanda le motivazioni di tale intervento di censura vengono subito chiesti i documenti per il solito rituale di identificazione/intimidazione.

Un fatto che, nel suo piccolo, riassume perfettamente tanto le tendenze autoritarie quanto il clima di asfissia culturale che si respirano oggi in Italia.

Fortunatamente, il cancellare un’opera d’arte dallo spazio pubblico in questa maniera, con tale dosaggio d’ottusità sbirresca, alle volte può produrre proprio l’effetto contrario all’intento censorio e un semplice cartellone può trasformarsi in un colpo d’arte-guerriglia magistrale.

Se lo scopo dell’opera (vedi video-intervista in fondo) era quello di ricordare ciò che successe quasi settant’anni fa per ragionare su cosa accade oggi allora lo scopo dell’opera è riuscito alla perfezione. Magie della street art.

In serata, a distanza dalle celebrazioni ufficiali della mattinata, anche quest’anno la città ha potuto assistere ad una commemorazione alternativa. Un corteo organizzato dal collettivo Guernica ed arricchito dalla numerosa presenza di lavoratori iscritti al S.I.Cobas, dai comitati a difesa del territorio e da altre realtà attive nella politica cittadina ha sfilato per via Santa Caterina in mezzo al freddo e alla nebbia dal campo Baroni alle ex Fonderie Riunite.

Un corteo dentro al quartiere, tra le case, con le luci accese alle finestre e chi le apriva per guardare chi stava passando. Memoria viva, fiammella accesa, tanti interventi buona partecipazione, almeno un’ottantina di persone dietro a uno striscione che recita “La memoria vive nelle lotte”.

Davanti al monumento in ricordo dei lavoratori assassinati parla anche Aldo Milani, coordinatore nazionale del S.I.Cobas, presente alla manifestazione. Il suo intervento, che ricorda anche il ruolo delle forze dell’ordine e del sindacato nella società contemporanea, traccia una linea diretta tra ciò che successe settant’anni fa e la repressione odierna dei lavoratori. Memoria viva. Il coordinatore del S.I.Cobas,  che ha deposto un mazzo di fiori sul monumento dedicato ai sei lavoratori uccisi, racconta pure della fantascientifica condanna appena inflittagli (8 gennaio) dal Tribunale di Milano per uno sciopero e un picchetto sindacale del 2015 al deposito DHL di Settala, nel milanese.

Ma non c’è da spostarsi così tanto per trovare esempi di lotte, di lavoratori sfruttati, di lacrimogeni e manganelli, di cooperative spurie, di straordinari non pagati, di mafia e di caporalato e di repressione. Basta ricordarsi della vertenza AlcarUno  di Castelnuovo Rangone (per la quale la Questura di Modena ha costruito un castello di carte contro
il S.I.Cobas al solo scopo di fermare le proteste) o della recente Italpizza (vertenza ancora tutt’altro che risolta) per ricordarci di come quella memoria del passato riecheggi eccome anche nella Modena di oggi.

La partecipazione di tanti lavoratori alla commemorazione alternativa parla chiaro, la memoria dell’eccidio del 9 gennaio non ha i capelli bianchi, non è esclusiva storica o memoriale, non è un aneddoto culturale ma è materia viva e più attuale che mai.

Forse allora, il senso più immediato ma al tempo stesso anche politico, di questo 9 gennaio ce lo fornisce, al cellulare, l’artista del Collettivo FX che, a margine della manifestazione, ci racconta cos’era successo in mattinata e il senso della sua opera censurata.

…col tempo, se tu continui a fare sempre la stessa celebrazione e la situazione politica, la situazione culturale cambiano completamente, quella cosa lì cambia completamente significato.

 

Infine, c’è da notare come la stampa locale abbia trattato la manifestazione di ieri sera, ignorandola quasi completamente (a parte un video online sulla Gazzetta) e nient’altro. Forse dunque e sottolineiamo forse, i tentativi di silenziare istanze e attori sociali in questa città non sono prerogativa esclusiva di chi strappa un’opera d’arte o reprime i lavoratori durante uno sciopero. Ma su questo lasciamo il punto interrogativo.